10 MOTIVI PER DIRE NO AL DIVIETO DI DISSIMULARE IL PROPRIO VISO

10 motivi per dire NO al divieto di dissimulare il proprio viso

NO a un’iniziativa inutile, sproporzionata e controproducente

L’iniziativa vuole inserire nella Costituzione un divieto della dissimulazione del viso. Un codice di abbigliamento che limita diverse libertà fondamentali, senza che ci sia un vero interesse pubblico. Per i fini di sicurezza, identificazione e contro la coazione esistono già delle leggi e dal punto di vista del velo integrale, un divieto non porterebbe a liberare le poche donne che lo indossano per obbligo, ma le punirebbe e isolerebbe ulteriormente. L’iniziativa lede anche il principio dell’ordinamento federalista, limitando l’autonomia dei Cantoni, che generalmente dovrebbero avere piena competenza in ambito di sicurezza e religione.

Una tale iniziativa è inutile e sproporzionata, ma anche controproducente, perché alimenta i pregiudizi di parte della popolazione nei confronti delle persone di fede islamica e contribuisce così alla radicalizzazione.


NO a un’iniziativa contro la libertà di credo e di coscienza

In Svizzera, la libertà di credo e di coscienza e quindi anche l’uso di alcuni capi di abbigliamento per motivi religiosi sono garantiti dall’art. 15 della Costituzione federale, dall’art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dall’art. 18 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici.

Questo diritto fondamentale può essere limitato solo a determinate condizioni, stabilite dalla Costituzione (art. 36). Vale a dire, se esiste una base giuridica per la restrizione, se essa è giustificata da un interesse pubblico o dalla tutela dei diritti fondamentali di terzi e se essa è proporzionata. Nel caso dell’iniziativa, la condizione della base giuridica è soddisfatta, ma non quella dell’interesse pubblico. In Svizzera il numero di donne che indossano il velo integrale non solo è estremamente ridotto, ma non rappresenta nemmeno una minaccia per l’ordine pubblico.

Anche l’argomento della tutela dei diritti fondamentali di terzi, che la Francia ha fatto valere con successo dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo con il pretesto del “vivere insieme”, è inammissibile. Non è convincente dal punto di vista giuridico ed estremamente pericoloso dal punto di vista dei diritti umani: chi ci dice che con lo stesso pretesto del “vivere insieme” o dell’ordine pubblico non sia possibile vietare altre diversità, come l’omossessualità o il veganismo? Questa strumentalizzazione dei diritti umani, per cui la maggioranza potrebbe arbitrariamente limitare i diritti fondamentali delle minoranze, è stata riconosciuta anche dal Comitato per i diritti umani dell’ONU, il quale ha visto nel divieto francese non solo un’interferenza sproporzionata con la libertà religiosa, ma anche una doppia discriminazione basata sul genere e sulla religione.


NO a un’iniziativa contro la libertà di opinione, di riunione ed economica

L’iniziativa avrebbe anche un impatto negativo sull’attivismo politico e sui mezzi commerciali e pubblicitari. Lo dimostra il divieto di dissimulazione del viso del Canton Ticino, che corrisponde sostanzialmente alla formulazione dell’iniziativa popolare, e che non prevedendo alcuna eccezione per le manifestazioni politiche o per motivi commerciali/pubblicitari è stato dichiarato dal Tribunale federale incompatibile con la Costituzione federale, ossia con la libertà di opinione e d’informazione (art. 16), la libertà di riunione (art. 22) e la libertà economica (art. 27). La sentenza conferma anche ciò che una relazione esplicativa del Dipartimento di Giustizia ha già sollevato, ovvero che l’iniziativa rappresenta una minaccia alla proporzionalità.


NO a un’iniziativa contro l’autodeterminazione

È una conquista della società laica e liberale che lo Stato non imponga codici di abbigliamento e che permetta a uomini e donne di vestirsi come vogliono purché non sia dannoso per gli altri. Mettere un divieto di dissimulazione del viso nella nostra Costituzione significa rinunciare ai nostri valori liberali e in un certo senso ci mette allo stesso livello di regimi totalitari come l’Iran o l’Arabia Saudita, che dettano alle donne come vestirsi.

Il divieto di dissimulare il viso non riguarda ciò che si pensa personalmente del velo integrale, ma ciò che lo Stato è autorizzato a prescrivere per legge. L’invasione delle libertà individuali e del diritto all’autodeterminazione delle donne da parte di un divieto statale riguardante l’abbigliamento deve essere decisamente respinta. Perché anche noi vogliamo vestirci a nostro piacimento, senza vincoli religiosi, culturali, patriarcali e men che meno statali.


NO a un’iniziativa contro l’islam

Questa iniziativa, come quella del 2009 contro i minareti, mette in cattiva luce tutte le persone di fede islamica, favorendo un clima d’intolleranza e mettendo in pericolo la coesione sociale.

La realtà è che l’andamento dell’islam in Svizzera è esattamente il contrario di ciò che minacciano gli iniziativisti: abbiamo una delle comunità musulmane meglio integrate d’Europa; abbiamo persone musulmane molto rispettose della cittadinanza svizzera e che collaborano con lo stato per rafforzare l’integrazione dei musulmani in Svizzera. Musulmano non è un sinonimo di straniero: in Svizzera, oltre a persone straniere o di origine straniera, esistono anche persone indigene che si convertono all’islam.

Se vogliamo davvero evitare l’insorgere di estremismi, occorre piuttosto dialogare con le autorità̀ religiose musulmane locali per affrontare insieme i problemi. Bisogna dare forza alle voci islamiche moderate e (far) capire che il dialogo e la collaborazione sono importanti.


NO alla strumentalizzazione delle donne

Gli iniziativisti sostengono di opporsi al velo integrale in nome della parità di genere e contro l’oppressione femminile. Ma non è punendo una trentina di donne che portano il velo integrale in Svizzera (per lo più turiste o residenti convertite che lo fanno per propria scelta) che si combatte l’oppressione femminile, anzi. Da un lato si puniscono ulteriormente le donne vittime dell’obbligo, dando loro una multa o costringendole in casa; dall’altro si viola il diritto di opinione e all’autodeterminazione delle donne che scelgono di portare il velo integrale.

Proibire il velo integrale non significa sostenere e difendere la libertà delle donne, ma è semplicemente un pretesto per accanirsi contro chi è visto come diverso. Se vogliamo davvero una società fondata sulla parità di genere, è necessario promuovere e sostenere tutte quelle politiche di integrazione, di formazione e di lavoro che permettono veramente alle donne di raggiungere l’indipendenza sociale ed economica – indipendentemente dal fatto che indossino veli integrali, minigonne o jeans.


NO alla costrizione di coprire o scoprire il proprio corpo

In Svizzera, costringere una persona a fare o indossare qualcosa contro la propria volontà, indipendentemente dal fatto se si tratti di un velo integrale o di una minigonna, è una coazione ed è già punibile secondo l’articolo 181 del Codice penale svizzero.

Quando le donne sono costrette a indossare il velo integrale, un divieto come quello richiesto dall’iniziativa, non le aiuta, al contrario. La pratica dimostra infatti che queste donne non escono più negli spazi pubblici e vengono così spinte ad isolarsi ancora di più.

È comunque sbagliato pensare che tutte le donne che si coprono il viso lo facciano sotto costrizione. Questo atteggiamento paternalistico cementa lo stereotipo della donna musulmana come un essere alienato e immaturo che deve essere liberato. Ci sono donne che indossano volontariamente il velo integrale perché per loro è espressione della loro identità culturale o religiosa o perché vogliono distanziarsi dall’immagine sessualizzata delle donne nelle società occidentali. Un divieto generale di dissimulazione del viso costituirebbe quindi un’invasione delle libertà fondamentali di queste donne e non può essere giustificato.

La costrizione a coprire il corpo femminile è l’espressione di un sistema patriarcale. In tutte le culture patriarcali, comprese quelle cristiane, i corpi delle donne erano e sono soggetti al controllo maschile e spesso alla violenza da parte degli uomini. La sessualità delle donne era fortemente limitata da divieti e comandamenti, e alle donne veniva negato il diritto all’autodeterminazione sul proprio corpo. Ecco perché nella storia europea l’esposizione del corpo e la nudità sono stati anche simboli di emancipazione. Nella nostra società odierna, però, c’è anche una verosimile costrizione a scoprire il corpo femminile, che viola la dignità della donna tanto quanto la costrizione a coprirsi. Ci viene spontaneo chiederci: Quanto sono realmente autodeterminate le donne occidentali quando si sottomettono – spesso inconsciamente – alle implacabili norme sociali e agli standard di bellezza che le mettono sotto pressione e le rendono sempre più malate fisicamente e psicologicamente, limitando o addirittura danneggiando la loro integrità fisica? L’emancipazione va quindi sostenuta anche in questo senso!


NO a una cultura del proibizionismo

Pretendere che la comunicazione possa avvenire solo a viso scoperto è un argomento ridicolo e presuntuoso. Sempre di più ognuno di noi comunica per telefono, sms, e-mail, sui social, ecc. senza guardarsi in faccia. Per non parlare della recente esperienza sanitaria, in cui non sono di certo state le mascherine a impedire la convivenza, il rispetto e il dialogo. Ma anche il non voler partecipare all’interazione sociale o semplicemente il voler mantenere la propria privacy in una società sempre più invadente dissimulando il proprio viso è un nostro diritto e non è questo a renderci meno “svizzeri”.

Il divieto di dissimulare il proprio viso è un passo nella direzione sbagliata: verso una cultura del proibizionism o. Una cultura che vuole semplicemente bandire ciò che disturba, irrita o causa disagio. Questo segnala una grande diffidenza anche verso la nostra stessa popolazione, soprattutto verso coloro che pensano in modo diverso o si vestono in modo diverso.

Possiamo sentirci offesi dal velo integrale, reputarlo inopportuno e antiestetico oppure giudicarlo come un’imposizione o una dichiarazione politica. Ma una società aperta e pluralista come la nostra deve essere in grado di affrontare il fatto che esistono diverse forme di pensiero e di fede e che queste – se non nuocciono e non limitano le libertà altrui – devono essere rispettate.


NO alla diffusione della paura

L’attuale situazione giuridica in Svizzera regola già le questioni della dissimulazione del viso legate alla sicurezza. La polizia ha infatti il diritto di chiedere in qualsiasi momento a qualsiasi persona di identificarsi, come sancito dalla legge cantonale sulla polizia. Inoltre, a svariati servizi (banca, posta, …) non si può accedere senza scoprirsi il viso. Anche per la questione della dissimulazione del viso nello sport esiste un concordato a livello nazionale che risolve il problema (Concordato sulle misure contro la violenza in occasione di manifestazioni sportive).

Gli iniziativisti collegano il velo integrale anche con il terrorismo internazionale, ma la realtà è che finora in Europa non è stato compiuto un solo attacco terroristico da una donna che indossasse il velo integrale. Alle nostre latitudini, i terroristi, generalmente maschi, indossano abiti “occidentali” e non sono coperti in volto. Il terrorismo è un problema da non sottovalutare ma anche in questo caso esistono già delle normative mirate.

Inoltre, è molto improbabile che chiunque pianifichi una rapina, un attentato terroristico o una sommossa in occasione di un raduno politico o di un evento sportivo venga scoraggiato da un divieto generale di dissimulazione del viso.

L’esperienza francese, anche se ben lontana da quella Svizzera, dimostra che nonostante il divieto di dissimulazione del viso, il problema degli estremismi sia rimasto irrisolto. Mentre un’esperienza ben più simile alla realtà Svizzera, ovvero quella ticinese, riconferma che quello sollevato dall’iniziativa è un non-problema: dal 2016 si contano infatti solo una sessantina di infrazioni (ca. 15 all’anno), riguardanti per metà hooligans e per metà donne musulmane, soprattutto turiste. Cifre irrilevanti, soprattutto se comparate con quelle della violenza domestica, che nel 2019 in Svizzera ha raggiunto quasi 20’000 reati (il 6% in più dell’anno prima) di cui 29 erano omicidi.

L’argomento degli iniziativisti sulla sicurezza non serve ad altro che a diffondere paura. Ingigantiscono dei problemi, presunti o reali, ma per finire con la loro proposta fanno tutt’altro che risolverli.


NO alla politica simbolica, populista e xenofoba

Sia i minareti che il velo integrale fanno parte della politica simbolica, populista e xenofoba dei partiti conservatori di destra per attrarre voti. Questi simboli si prestano bene al collegamento con il terrorismo internazionale e l’oppressione delle donne e possono facilmente mobilitare e trarre in inganno il “popolo”, soprattutto se a strumentalizzarli ci sono partiti con molto denaro. La popolazione deve però rendersi conto che si tratta di una trappola elettorale pericolosa, che non porta alla risoluzione dei seri problemi che ci sono nella nostra società, ma che al contrario rischia di creare nuovi conflitti, oltre che a limitare i diritti e le libertà fondamentali di tutte e tutti noi.

Nancy Lunghi