UNA SVIZZERA RESPONSABILE

Una Svizzera responsabile

Allocuzione 1° agosto 2025 a Caslano

Onorevole Sindaco, Onorevoli Municipali,

Onorevoli Consigliere e Consiglieri comunali e autorità presenti,

Care e cari abitanti di Caslano, caro pubblico,

È per me davvero un grande onore e una grande emozione essere qui con voi oggi, in un altro spettacolare paradiso lacustre del nostro stupendo territorio, in occasione della nostra Festa Nazionale. E desidero innanzitutto ringraziare di cuore il Municipio di Caslano per l’invito e per la fiducia che mi concede permettendomi di rivolgermi a voi in questo giorno così significativo.

Un giorno che ogni anno ci offre l’occasione per riflettere non solo sulla nostra storia e le nostre tradizioni, ma anche su ciò che la Svizzera rappresenta, su quello che ci ha resi un popolo coeso e resiliente, e sulla direzione che vogliamo prendere assieme.

Siamo abituati a pensare al 1° agosto come una festa di tradizione, di bandiere rosso-crociate appese, di fuochi che illuminano la notte e di discorsi come questo. Ma oggi io vorrei provare, con voi, ad andare un po’ più in profondità, sperando di non rubarvi inutilmente un quarto d’ora ma di lasciarvi degli spunti su cui riflettere e di accendere in voi quel fuoco sacro che ci rende cittadine e cittadini attivi.

E mi permetto di farlo partendo da dove sono arrivata, ossia da Locarno, perché proprio quest’anno ricorre il centenario del Patto di Locarno: una pagina di storia importante, anche se forse troppo poco conosciuta, ma profondamente legata all’identità diplomatica della Svizzera. Era infatti il 1925, e proprio a Locarno, si tenne la Conferenza che portò agli accordi che avevano l’ambizione di garantire la pace e la stabilità in Europa dopo gli orrori della Prima guerra mondiale. Fu un momento di speranza: un tentativo concreto e condiviso di prevenire nuovi conflitti armati attraverso il dialogo e l’impegno multilaterale – un nuovo importante capitolo della diplomazia internazionale che ebbe luogo proprio in Svizzera, paese da sempre particolarmente apprezzato per la sua neutralità e stabilità politica, come anche per i suoi valori costituzionali.

E oggi, a distanza di cent’anni, siamo di nuovo chiamati a chiederci: cosa abbiamo imparato da quel momento storico? Abbiamo fatto abbastanza per mantenere vivo quel patto ideale di pace? La risposta, purtroppo, è no, non abbiamo fatto abbastanza. La guerra è tornata in Europa, e si consuma in tanti altri angoli del mondo. La diplomazia, il dialogo arretrano, e al loro posto avanzano armi, muri, disumanizzazione.

Viviamo in un tempo in cui i diritti umani vengono calpestati con ferocia e sistematicità, spesso nell’indifferenza generale. Pensiamo in particolare alle sofferenze della popolazione palestinese, colpita da gravi atrocità e punizioni collettive inaccettabili, e troppo spesso giustificate o ancora peggio ignorate.

Purtroppo siamo testimoni di un tempo in cui la parola “pace” rischia di diventare un’illusione, se non siamo disposti a difenderla con coraggio, anche quando è scomodo farlo.

Ricordandoci che quando popoli interi vengono bombardati, quando bambini muoiono sotto le macerie, quando la dignità umana viene calpestata giorno dopo giorno, sotto i nostri occhi, non parlare e restare indifferenti significa comunque rendersi complici e schierarsi dalla parte sbagliata della storia.

E la Svizzera è certamente conosciuta nel mondo per la sua neutralità, che ci ha permesso di rimanere fuori dai grandi conflitti armati del secolo scorso. Ma questo concetto – oggi più che mai – deve essere interpretato nel modo giusto. Perché la neutralità non può e non deve essere un alibi per la passività morale. Non può significare girarsi dall’altra parte quando vengono calpestati i diritti umani. Non può significare rimanere equidistanti tra l’aggressore e la vittima. Essere neutrali non può significare chiudere gli occhi o restare muti tradendo i valori fondanti del nostro Paese: come la democrazia, la solidarietà, la libertà e la giustizia. Diritti umani fondamentali di cui proprio il nostro paese ne è la culla.

Al contrario, io credo che la Svizzera, proprio perché neutrale, proprio perché gode ancora di una certa credibilità a livello internazionale, debba farsi promotrice attiva di pace, di diritti, di mediazione, e soprattutto di verità. Non possiamo far finta di non vedere. Perché la pace si costruisce solo se si ha il coraggio di nominare l’ingiustizia.

E allora, cosa possiamo fare noi, come cittadine e cittadini svizzeri? Come possiamo contribuire, nel nostro piccolo, a un mondo più giusto, più equo, più umano?

La risposta non è semplice, ma io sono convinta che tutto parte dalla consapevolezza e che anche ognuna e ognuno di noi può essere un seme di cambiamento, nel proprio piccolo, nella propria quotidianità.

Anche se non si è capi di Stato o attivisti internazionali si può fare la differenza. Perché ogni scelta quotidiana è un atto politico: le nostre abitudini di consumo, il modo in cui parliamo degli altri, come si educano i propri figli, la nostra partecipazione alla vita della comunità. Tutto conta. Ricordandoci che essere cittadine e cittadini non significa solo rivendicare diritti, ma anche assumerci doveri. E uno dei doveri più urgenti oggi è proprio quello di non voltarsi dall’altra parte – anche se siamo in una società che corre, anche se ognuna e ognuno di noi deve affrontare già i suoi problemi quotidiani.

Non possiamo dimenticare che viviamo in un mondo profondamente interconnesso, dove le nostre comodità spesso si reggono su diseguaglianze sistemiche, dove il nostro benessere può avere un prezzo altissimo per qualcun altro. Oggi più che mai siamo quindi chiamati a chiederci: a cosa siamo disposti a rinunciare per il bene collettivo? Siamo pronti a mettere in discussione alcuni privilegi, se questo significa più giustizia? Più pace?

È qui che entra in gioco il concetto di solidarietà, che fa parte del DNA della Svizzera. Pensiamo alla nostra storia di cooperazione e di accoglienza, ai nostri 26 Cantoni eterogenei, alle nostre 4 lingue nazionali, alla forza multiculturale che rende la Svizzera un paese invidiabile per la sua qualità di vita. Valori questi che non possiamo permettere che si indeboliscano. Ma al contrario: dobbiamo rilanciarli con forza.

Come giovane donna in politica, non vi nascondo che spesso mi scontro con sentimenti di frustrazione, di impotenza. Ma ogni volta mi ripeto: il cambiamento non cade dall’alto. Comincia dal basso. Comincia da noi.

E allora vi chiedo: quale sarà il nostro contributo? Come vogliamo essere ricordati tra altri cento anni?

Personalmente sogno e mi batto per una Svizzera che non abbia paura di prendere posizione quando conta. Una Svizzera che non si nasconda dietro ai formalismi, ma che sappia parlare con voce chiara. Una Svizzera che non costruisce muri, ma ponti. Una Svizzera che, proprio nel suo piccolo, mostra al mondo che un altro modo di convivere è possibile.

E so che questa Svizzera esiste già. È nei volti delle persone che si impegnano ogni giorno nel volontariato e nelle associazioni. È nei docenti che educano al rispetto. È nei giovani che chiedono coerenza climatica e più spazi per esprimersi. È nelle cittadine e nei cittadini che difendono chi non ha voce.

Oggi, 1° agosto, proviamo a celebrare la Svizzera non solo come nazione, ma come visione. Una visione di comunità, di rispetto, di convivenza pacifica, in un mondo dove l’ingiustizia di uno è la ferita di tutti.

Partiamo da Caslano per ricordarci che le comunità locali e le persone che le vivono sono il cuore pulsante della democrazia. Ed è da qui, dai piccoli gesti quotidiani, che si costruisce una nazione forte, giusta e viva e responsabile anche internazionalmente.

Concludo quindi augurandovi che questo 1° agosto sia per tutte e tutti noi non solo una festa, ma un impegno.
Un impegno a non rimanere in silenzio.
Un impegno a prenderci cura l’uno dell’altra e del nostro pianeta.
Un impegno a essere protagonisti della pace, non spettatori.

Buona Festa Nazionale a tutte e tutti.

E grazie, ancora, Caslano, per avermi accolta con calore.